Qualche consiglio pratico per chi scatta ritratti e rischia di sabotare da solo il proprio lavoro per timidezza, titubanza, dubbi…
Perso nel traffico di Bombay, ero riuscito ad arrivare in ritardo all’appuntamento con la principessa Monica Chudasama Varziralli. Dovevo fotografarla per una rivista di moda italiana e qualcuno mi aveva detto che la principessa aveva un carattere imprevedibile. Io decisi di non dare troppo peso a quello che avevo sentito.
Dopotutto con me era stata squisita la sera prima, quando ci eravamo incontrati velocemente ad una festa e lei era accerchiata da paparazzi.
Entrato in casa sua, mentre mi scusavo per il ritardo, guardai in giro per trovare il posto più adatto per fotografarla. Una grande finestra mi sembrò la situazione che poteva garantirmi una buona illuminazione e l’ambientazione adatta, ma il muro dietro era un po’ spoglio. Nei corridoi e nelle altre stanze, invece, avevo visto tanti ritratti degli avi, inclusi quelli dei due nonni maharajà.
Potevo arrivare in ritardo (e tutto sudato!) in casa di una principessa e come prima cosa staccarle i quadri dalle pareti per creare l’ambientazione adatta al ritratto? La guardai con un bel sorriso e le dissi: “Certo che il ritratto del nonno dietro di te starebbe proprio bene..” e in una frazione di secondo dal suo sguardo capii che potevo farlo. Il ritratto fu veloce, tante risate e piena disponibilità da parte della principessa. Ma… come si sarebbe comportata se invece di un fotografo pronto a metterla a suo agio e scherzare avesse percepito in me titubanza o ansia?
Uno dei problemi di cui parlano spesso gli studenti durante i miei workshops è l’imbarazzo o la paura nei confronti della persona che devono fotografare. Di cosa si ha paura? Di fare una figuraccia, non riuscire a scattare una bella immagine, sentirsi in qualche modo rifiutati, non avere il controllo della situazione… Tutti timori che – spesso – hanno più a che fare con la propria insicurezza (e inesperienza) che con una reale situazione difficile. Il filosofo greco-latino Epitteto di Frigia (55-135) riassunse bene il disagio che oggi turba tanti fotografi (anche se nell’antica Grecia non ce n’erano) quando scrisse: “Gli uomini non sono turbati dalle cose che accadono, sono turbati dalle proprie opinioni sulle cose che accadono”.
Certo, ci sono persone realmente difficili (eccome!), ma se il fotografo si lascia condizionare, diventeranno… ancora più difficili! Come comportarsi? Non possiamo cambiare l’altra persona, ma possiamo intervenire sul nostro atteggiamento. Ricordiamoci di Epitteto di Frigia e chiediamoci che opinione abbiamo della persona che dobbiamo fotografare. Di fronte a noi c’è “una attrice capricciosa e prepotente”? Proviamo a ri-definirla “una persona un po’ insicura dalla cui immagine dipende anche la propria carriera”. Ci accorgeremo che il nostro umore cambierà immediatamente, la guarderemo con occhi diversi e ci sentiremo più propensi a capire i suoi limiti e i suoi bisogni. Anzi, fotografandola ci sembrerà di prenderci cura di lei. Se trasmettiamo sicurezza, si sentirà in buone mani e si lascerà dirigere più volentieri.
La sicurezza viene anche con l’esperienza, perciò se ci saremo esercitati a fotografare soggetti più facili cercando di metterli a proprio agio e dirigerli con cortese fermezza, una certa sicurezza si sarà sviluppata da sola in noi. E se comunque non fosse abbastanza, non c’è bisogno di fare finta di essere perfettamente sicuri quando non lo siamo. Piuttosto è importante essere consapevoli della propria insicurezza e cercare di individuare l’azione più adatta ai limiti della situazione.
Torniamo all’esempio dell’attrice capricciosa, probabilmente lei è abituata a stare davanti ad un obiettivo e potrebbe chiedere di farsi fotografare in un certo modo rischiando di rendere le cose difficili. Il fotografo potrà lasciarsi risucchiare in quel gioco e la situazione deteriorerà perché non sarà più chiaro chi dirige. Oppure il fotografo potrà osservare l’attrice e prendere in considerazione il suo carattere proprio come prende in considerazione la luce, i vestiti o lo sfondo, cioè considerarlo come uno dei tanti elementi presenti. E come accade per ogni altro aspetto della foto, si preoccuperà di intervenire per armonizzare tutto. Quali sono le azioni più adatte ai limiti della situazione? C’è bisogno di modificare l’inquadratura, mettere a posto quella ciocca di capelli, rassicurare un po’ il soggetto, scattare qualche foto come vuole lei, trovare le parole giuste per dirigerla (come vogliamo noi)…
La cosa importante è decidere cosa evidenziare e cosa no. Se qualcosa nello sfondo disturba la foto, non lo inquadriamo. Se la luce penalizza il soggetto, cambiamo illuminazione. Se notiamo che il soggetto è teso, cerchiamo di metterlo a suo agio. Se ci sentiamo insicuri, lo sappiamo ma possiamo decidere di lasciare la nostra insicurezza il più possibile fuori dalla foto. Vogliamo puntare il nostro obiettivo sui capricci dell’attrice o riusciamo a vedere qualcosa lì dietro? Di che cosa ha bisogno da noi per lasciare cadere quella maschera antipatica? Vogliamo scattare un ritratto filtrato dalla nostra impazienza? Ci piace il modo in cui la luce illumina i suoi vestiti? La posizione va bene o dovremmo suggerire un altro gesto?
Nella mia esperienza, il fatto di essere consapevole dei vari elementi presenti mentre scattiamo ci permette di scegliere cosa evidenziare e cosa no. In questo modo anche l’eventuale insicurezza del fotografo diventa solo un altro elemento presente e, proprio come accade con una luce difficile o con uno sfondo strano, lo si tiene in considerazione e si fa in modo che non interferisca più di tanto sulla buona riuscita del ritratto. Se le preoccupazioni non richiedono troppa attenzione, il fotografo potrà occuparsi con più facilità di percepire empaticamente il soggetto e creare una foto che lo rispecchi.
Enzo Dal Verme